Buon pomeriggio a tutti. Organizziamo il nostro incontro in tre momenti: durante la prima parte prenderemo in considerazione alcuni aspetti dell’incontro tra Gesù e Zaccheo, nella seconda parte risponderò ad alcune domande e nella terza approfondiremo i punti di riferimento più importanti per il cammino vocazionale.
PRIMA PARTE: L’INCONTRO DI GESU’ CON ZACCHEO.
Zaccheo era un uomo ricco, un uomo che guadagnava, ma era sopratutto un peccatore perché prendeva i soldi degli ebrei e li dava ai Romani. Questo ci porta a considerare che Gesù non chiama solo un certo tipo di persone, non chiama solamente quelli che sono puliti. Lui chiama della gente semplice come Giovanni, Andrea, Pietro, Giacomo. Zaccheo era un mafioso, era un capo di sfruttatori, era avvezzo alle battaglie della vita e quindi anche alle cattiverie della vita, eppure il Signore lo chiama. Mentre possiamo dire che l’apostolo Giovanni, l’apostolo che segue Gesù sin dalla gioventù, era uno buono; uno che in Brasile è denominato km 0, cioè uno come una macchina appena uscita dalla fabbrica, uno pulito. Invece Zaccheo era rodato, cioè super navigato. Eppure il Signore chiama anche lui. Questo dimostra che l’annuncio di Gesù è per tutti, non per quelli che noi riteniamo buoni, è universale. Durante i miei primi anni da sacerdote, la mattina, con altri giovani, andavo a fare volantinaggio all’uscita dell’Università proponendo in forma missionaria incontri della comunità cristiana. Allora vedevamo in faccia le persone, e la tentazione era di consegnare gli inviti solo a chi aveva la faccia simpatica o alle belle ragazze. Se qualcuno aveva la faccia da Carlo Marx o da estremista o da topino (ladruncolo) ero tentato di non invitarlo, tanto questo è già perduto… Invece no, se Gesù ha chiamato Zaccheo, l’invito deve essere rivolto a tutti, senza calcolare il risultato, perchè è il Signore che chiama, conduce le persone per mano, tocca i cuori. Questo è un aspetto importante sia nella missione come nella esperienza vocazionale. Non dobbiamo avere dei pre-concetti e i nostri calcoli non possono avere la meglio sul piano del Signore. Gesù ha chiamato Zaccheo, ha voluto per sé Paolo che era persecutore. Il Signore chiama chiunque. Non dobbiamo noi calcolare a chi fare l’annuncio e la proposta vocazionale. Al massimo ci diranno di no, ma non abbiamo escluso nessuno.
Zaccheo non solo era ricco, ma anche basso, ma aveva la curiosità di vedere Gesù. Questa curiosità naturale, che a noi molte volte potrebbe sembrare una cosa superficiale è importante, il Signore la usa e la trasforma in “ricerca” di realtà più profonde. Quindi la curiosità ed il desiderio, spingono Zaccheo a correre più avanti per vedere Gesù.. Ma la sua statura glielo impediva a causa della folla. Corse avanti, salì sul Sicomoro perché di lì doveva passare il Maestro. Si diede da fare! La curiosità è solo l’inizio. Ma, se in un mondo come questo, ti viene in mente la curiosità e il desiderio della vocazione, questo è già un segno iniziale di vocazione che va verificato. Quando viene in mente l’idea di consacrarsi totalmente a Dio, quando tutto il mondo ti spinge a fare il contrario, ti trovi davanti ad un segno che devi prendere in considerazione con serietà.
Ma perché Zaccheo corre e cerca di vedere Gesù? Non stava bene con i suoi soldi? In realtà possedeva tante cose, però non era soddisfatto, cercava qualcosa di più. Proprio come noi che cerchiamo qualcosa in più, qualcosa di più grande, di immenso. Qualcosa che non possiamo misurare e che pure desideriamo in modo confuso, ma forte. Più del successo, più dell’amico, dell’ amica. C’è in noi l’attesa, il desiderio di qualcosa che non possiamo calcolare Tutte le ricchezze non bastano a Zaccheo. Tutte le ricchezze che ha non sono sufficienti a colmare il vuoto che ha nel cuore. Cerca qualcosa che valga più delle ricchezze. Quello che lui chiede desiderando vedere Cristo è qualcosa di diverso. Il fulcro dell’incontro di Zaccheo è nell’istante in cui Gesù passa di lì e lo guarda. Se Gesù fosse passato di lì senza guardarlo non sarebbe successo niente. Invece, passa e lo guarda. In quel momento lui incrocia lo sguardo di Gesù e si sente dire: “Oggi voglio venire a cena da te. Scendi subito perché mi devo fermare a casa tua”. Zaccheo scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Una gioia strana, una gioia nuova com’è la caratteristica di una vocazione vera. Dice Sant’Agostino: “Gesù lo guardò ed egli vide”. Zaccheo comincia a vedere. Zaccheo incrocia lo sguardo di Gesù e chiama tutti i suoi amici e fa festa. E a noi come arriva lo sguardo di Gesù? Sicuramente attraverso qualcuno in carne e osso che ci guarda, una persona concreta che ci accoglie, ci parla. E questa persona può essere un sacerdote, un amico/a, una suora, una catechista, un professore. Ma anche un fatto, una circostanza. Una Parola della bibbia. Un dolore, una gioia. Qualcosa che scuote la nostra umanità. In questo è lo sguardo di Gesù che ci tocca e ci raggiunge e percepisci che questo è diverso da tutto il resto; dura ed è qualcosa che non si può misurare: è più grande delle stelle del cielo e della sabbia del mare. Di fronte a questa realtà più grande, di fronte a “Qualcuno” che ci guarda e ci raggiunge, uno inizia a pensare che il cammino vocazionale può essere preso seriamente in considerazione.
Gesù si auto-invita a casa di Zaccheo ed è festa, una festa straordinaria. Gesù si trova in mezzo agli amici di questo peccatore, peccatori anche loro. Ma Gesù viene proprio per i peccatori. E Zaccheo colmo di gioia per la presenza del Signore dice qualcosa di veramente molto bello: “Dò la metà dei miei beni ai poveri e se ho rubato restituisco quattro volte tanto “. Questo perché? Solamente perché ha scoperto una ricchezza più grande del denaro. Così l’incontro con Gesù produce un cambiamento; la vita non è più quella di prima, c’è una ricchezza nuova, più grande del cielo e del mare. Questo è il cammino che la vocazione ci permette di fare.
A coloro che mormoravano Gesù dice: “Il Figlio dell’uomo è venuto per cercare e salvare ciò che si era perduto”. Gesù quindi entra nella casa di Zaccheo e insieme fanno festa. Tra chi prima non si conosceva nasce una vera la familiarità. Questa è la vocazione : uno cerca, ad un certo punto è guardato in un modo nuovo, comincia a vedere e accogliendo il Signore pieno di gioia popco a poco cambia la vita. La vita è vocazione.
SECONDA PARTE: DOMANDE
Prima domanda: ”Eccellenza, se Gesù le dicesse di rinascere di nuovo, quale sarebbe la sua prima reazione?”
In realtà, il Signore un giorno me l’ha detto! Così come un giorno mi ha chiesto di andare in Brasile. In entrambi i casi è stato per me un “rinascere”, entrare in una nuova esperienza. Ed è necessario assumere un atteggiamento di disponibilità verso Colui che rivolge l’invito, senza calcolarne il tornaconto. Quindi il punto chiave è proprio questo: la disponibilità senza misura. Di fronte ad una richiesta del genere una persona è felice perché è stato fatto oggetto di attenzione da parte di Dio. Poi si fida e comincia una nuova avventura entusiasmante.
Seconda domanda: “ Eccellenza, Gesù dice a Nicodemo di rinascere. Nella vita quotidiana troviamo persone cercano di andare avanti solo con il loro schema …
Come si reagisce di fronte a qualcosa che non è stato previsto? Innanzitutto una persona si mette in ascolto, presta attenzione. Se sto trascorrendo la mia giornata tranquillamente ad un certo punto ricevo la notizia che qualcuno è morto, entro in “ascolto”. Che cosa il Signore mi vuol dire attraverso questo fatto? Per questo il primo atteggiamento è quello dell’ascolto. Di fronte alla proposta della vocazione, la persona inizia a pensare. Una volta che ci mettiamo in ascolto, ci facciamo provocare da quella Parola, perché quella Parola è proprio per me, ha proprio la forza di essere un invito a me. Quindi mi faccio provocare e poi cerco di affidarmi a qualcuno che in quel momento mi può dare un aiuto. E’ necessario anche cogliere il senso di quello che succede, perché i fatti ci interpellano, e per lo meno essere disposti a scoprirlo. Ricordo che una volta, prima di partire per il Brasile, ho ricevuto una telefonata concitata perché mia madre, che era sola in casa, era caduta e si era fratturata il femore. Ero agitato, non sapevo cosa fare. Mentre ero tutto indaffarato a preparare il ricovero in ospedale e a fare gli accertamenti, le radiografie … mia madre mi chiamò e, invece di lamentarsi, mi disse: “Filippo, chissà che cosa il Signore ci vuol dire con questo fatto?” Mi ha aperto gli occhi sull’essenziale. I fatti accadono e attraverso questi fatti il Signore ci parla. Ed era il Signore che parlava in quel momento attraverso mia madre e mi diceva di aver fiducia in lui e che non ci avrebbe abbandonati.
Terza domanda: 3)Domanda sulle difficoltà……
La prima difficoltà è la pigrizia, l’altra è la paura del sacrificio affettivo. Sorgono delle domande: “Ce la farò? Che cosa significa questa disponibilità per sempre?” A queste domande rispondo più avanti.
Quarta domanda: Quali possono essere gli ostacoli ad una risposta? Quali possono essere i sicomori su cui arrampicarsi per vedere Gesù e cambiare la nostra vita?
Sugli ostacoli ho già accennato qualcosa e ritornerò nell’ultima parte del mio intervento. Il sicomoro più grande che noi abbiamo è proprio il nostro cuore. E’ il cuore che desidera, il cuore che arde di fronte alle cose belle e grandi, che vuole sempre di più. Quindi è il desiderio di non voler perdere tempo e di essere utili nella vita. Il sicomoro è il nostro cuore, perché in ciascuno di noi è presente il desiderio di felicità, la spinta alla pienezza, il gusto di una libertà piena che non sia menzognera, che non sia legata a cose che passano, libertà che non sia inganno o promessa che poi ti lascia più triste e insoddisfatto di prima. Ma è proprio il cuore che, ad un certo punto trova una sorpresa, riconosce Qualcuno che gli viene incontro, riconosce la Bellezza, riconosce la Presenza del Signore in un incontro, in una circostanza della vita. Un ragazzo potrebbe pensare:” Che senso ha percorrere il cammino della vita insieme a questa Presenza”. Le risposte poi si hanno quando si entra in contatto con le fragilità della vita, le varie forme di povertà. Tutte le povertà che troviamo nel mondo sono dei richiami che il Signore ci fa. Non è possibile rimanere indifferenti verso tanta miseria. Non è possibile vedere tanto sbandamento e rimanere senza far niente. È impossibile vedere tanto dolore e rimanere impassibili. Come Padre Pio che vede il dolore del mondo e chiede a Gesù di voler partecipare alla sua passione per la redenzione del mondo. Quindi, le situazioni concrete, le forme di povertà, le difficoltà nella vita degli uomini, sono i sicomori utili in cui una persona sente che di lì può guardare, di lì può approfondire lo sguardo sulla Bellezza del Signore. Di fronte alle difficoltà, alle ingiustizie, al male e alle tentazioni il Signore ha lottato ed ha vinto. Noi guardiamo e seguiamo uno che ha vinto; e con Lui vinciamo anche noi.
TERZA PARTE: VOCAZIONE
Ora ci addentriamo nell’aspetto specifico della vocazione alla verginità. Il tema della Vocazione riguarda tutte le persone, ma poi il cammino si divide perché c’è chi percorre la strada verso il matrimonio e chi per la vita consacrata,ma tutti quanti tendiamo verso Cristo e la santità. Tutti dobbiamo dare una risposta al Signore. Qual è la prima caratteristica per dedicarsi totalmente al Signore nell’esperienza della verginità e della donazione totale a Lui?
E’ una parola molto semplice: la stima per Cristo come “Colui che basta alla vita”. L’amicizia con il Signore mi basta ed è sufficiente per donarmi totalmente a Lui. La stima non è un fatto sentimentale (io ho stima di quel professore, di quella persona), ma la stima è un giudizio, cioè questa forma di vita vale per me, questa forma di vita vale più di tutto. È un giudizio di valore. Non è una chiusura di fronte alla realtà,ma c’è una diversità nel vivere il rapporto affettivo. E il giudizio di valore consiste nel considerare questa esperienza, che comincia attraverso un incontro e può durare per la vita. La stima è come quando uno desidera superare un esame difficile, ma se poi non si applica, significa che per quel risultato non ha vera stima. La stima vuol dire che per quella realtà, io consumo il tempo, le energie, i soldi ecc. Avevo un amico che per trovare un francobollo raro dell’unità d’Italia del 1861 spendeva il tempo libero, i soldi e non si calmava se non dopo averlo ottenuto. A me piaceva collezionare francobolli, ma non mi agitavo tanto. Mentre mi ricordo che quando ero seminarista e passavo due mesi estivi in Germania lavorando e studiando per imparare la lingua ho fatto tutto il possibile per assistere ad un concerto di Bob Dylan a Monaco di Baviera. La stima è quando consideri molto importante una determinata cosa e la apprezzi in maniera speciale. Si può vivere la vita in varie forme. Il giudizio sulla vocazione nasce dal verificare che nel rapporto col Signore è possibile la realizzazione affettiva della vita, non una riduzione, una sterilità, ma è possibile la pienezza dell’esperienza affettiva. Gli apostoli stando con il Signore, vedevano potenziata la loro affettività. Con il passare del tempo la stima aumentava, cresceva e il centro della vita diventava proprio la persona di Gesù. “Pietro mi vuoi bene più di tutti questi?” chiede il Maestro. Questo è il punto fondamentale dell’esperienza: la stima. Per Cristo hanno messo in gioco la loro vita. Per Cristo, stimato come il bene più grande, ancora oggi, uomini e donne donano la loro esistenza, il tempo, gli interessi …, tutto.
Il secondo aspetto è la radicalità della vocazione. La vita donata al Signore è un’ esperienza radicale perché esige una dedicazione totale. Prendiamo in considerazione Lc 14, 25-35.
“Una folla numerosa andava con lui. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”.
Nella versione moderna c’è scritto“non ama di più”, ma l’antica traduzione diceva “non odia”. L’esperienza della vocazione è l’esperienza di una radicalità, non è qualcosa che si può confondere o che si può camuffare. Gli apostoli hanno lasciato le reti lo hanno seguito. Le reti erano lo strumento per vivere, non era lo strumento per il tempo libero. E’ un sì che esige una radicalità totale. Questo lo hanno vissuto gli apostoli, ma lungo la storia è stata l’esperienza di tanti santi come san Francesco, Madre Teresa. Tutta l’esperienza quotidiana si basa sulla radicalità, che è il massimo della affettività, perché si dona la propria vita per un grande Amore. Questa esperienza straordinaria porta ad una disponibilità cui segue la responsabilità della risposta, che deve essere radicale.
In Luca 9, 57-62: Gesù a un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre». Gesù replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu và e annunzia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».
In Matteo 19,25:Allora Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».
“Riceverete cento volte tanto in questa vita”! E’ questa la grande sfida, il centuplo nell’affettività del rapporto, insieme con persecuzioni, come dice il passo parallelo. Ma è l’esperienza del centuplo che muove. Quindi una radicalità e una stima per un rapporto che è cento volte tanto, altrimenti non ci potrebbe essere una spiegazione adeguata. Prima Gesù aveva parlato anche dell’indissolubilità del matrimonio, e Pietro aveva risposto che, se le cose stavano così, non valeva la pena sposarsi. Allora Gesù parla della verginità cristiana. “Ci sono persone che si sono rese tali per il Regno dei cieli”, cioè fanno una scelta diversa. E gli apostoli chiedono “Come è possibile?”. Gesù risponde che “ Questo non è possibile agli uomini, ma nulla è impossibile a Dio”. L’impossibile diventa possibile. Il miracolo del centuplo comincia ad essere verificato nel quotidiano. Ma è possibile che io lasci tutto per andare in missione? Per me è successo e sono contento e sono tornato più felice di prima. Poi comincia la vita, la dedicazione nel ministero. Oppure se uno è laico accade vivendo la memoria di Cristo nella scuola, nell’insegnamento, nel lavoro, nella professione, con un cuore diverso, aperto a tutti, come accade ai santi, sperimentando come l’impossibile diventa possibile. Ecco la radicalità. È un giudizio di stima che arriva al punto della radicalità. Se noi non diamo questa testimonianza di radicalità, nessuno più si fa prete, entra in convento o vive la vita consacrata. Perché o la scelta è radicale oppure non vale la pena.
Il terzo passo è imparare a chiedere, imparare a pregare, perché la vocazione non si conserva se uno non la domanda ogni giorno (anche dopo quarant’anni di sacerdozio, cinquanta, uno, l’istante dopo). Ma la richiesta non è altro che è il desiderio di Cristo. Sul tema della preghiera i Vangeli hanno delle pagine straordinarie con l’invito a pregare sempre ed in forma insistente. C’è la pagina del giudice iniquo (Lc 18, 1-8). che non guarda in faccia a nessuno e la vedova che chiede l’aiuto in maniera insistente e allora il giudice, pur di non essere più seccato, le fa giustizia. Oppure il brano di quell’uomo che mentre sta per andare a dormire riceve la visita di un suo amico (Lc 11, 5-8) che bussa alla sua porta gli chiede tre pani perché un suo amico è arrivato da un viaggio e non ha nulla da offrirgli. E Gesù conclude “Anche se non si alzerà perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.” La domanda insistente è il cuore della preghiera: “ Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre celeste darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!”. La preghiera non è un ripetere formule, ma è accorgersi della presenza del Signore e chiedere il dono dello Spirito, cioè l’esperienza di Dio nella nostra vocazione. La domanda è il grande mezzo che il Signore ci da per discernere e per vivere la vocazione.
Difficoltà
Dopo aver elencato le caratteristiche della Vocazione, rispondiamo ad alcune difficoltà che si incontrano nel cammino della vocazione.
La prima difficoltà è la pigrizia. La pigrizia è una mancanza di decisione, di determinazione dinanzi a qualcosa di cui teoricamente si ammette l’importanza. E’ una mancanza di ormoni. E’ la caratteristica di una persona poco viva che quando si aggrava diventa il vizio capitale dell’accidia. E Papa Francesco parla di accidia egoista e paralizzante (Evangelii Gaudium 81). Per superare questo ostacolo è necessaria la preghiera e una guida forte e determinata. In seminario ci dicevano di scattare quando al mattino suonava la campanella e non c’erano i termosifoni. Maria riceve l’annuncio e immediatamente, con agilità, va a visitare la sua parente Elisabetta. Papa Francesco nella Evangelii Gaudium (n. 288) la chiama “nostra Signora della premura”. Maria in fretta si diresse verso la casa della cugina. La pigrizia è vinta dalle ragioni che sostengono una scelta, dalla preghiera e da una guida ferma.
La seconda è la paura della totalità. Come è possibile dare una risposta piena e totale? Prendere una decisione per sempre e totale è possibile innanzitutto a livello di desiderio. Colui che ho incontrato e che mi ha dato speranza e gioia, desidero non perderlo e voglio che prenda tutta la mia vita. Per esempio, anche se io non riesco a ricordare in tutti i momenti la presenza del Signore, mi aiuta molto il desiderio di Lui, di stare con Lui. La prima vittoria è il desiderio, perché uno non è davanti ad un peso, ma è davanti ad una cosa bella, ad una persona cara e desidera vivere in rapporto con lei, e il primo rapporto avviene a livello di desiderio. La prima vittoria è il desiderio di totalità. E questo lo chiedo nella preghiera, lo domando. Vieni Signore Gesù! Quindi il desiderio del Signore ci può accompagnare sempre. Per questo nella nostra vita è importante essere delle persone in cammino, e non persone che sentono già di essere arrivate alla meta, essere delle persone che desiderano. Dobbiamo essere come i bambini che cadono tante volte, ma poi si possono rialzare perché la loro natura non è rimanere a terra, ma è camminare e crescere sempre di più. Vivere e alimentare il desiderio dell’incontro con il Signore e questo desiderio va coltivato perché si estenda a tutta la vita. E poi la totalità è un divenire; è qualcosa che accade nel tempo e che giorno per giorno, ora per ora diventa più vero se seguo col cuore e col desiderio. E poi nel rapporto col Signore non possiamo misurare. E’ giusto dar tutto come decisione del cuore, ma questo non accade immediatamente; diventa vero nel tempo. Ti alzi al mattino con il desiderio della gloria di Cristo e poi arrivi alla sera e ti accorgi che hai dato gloria a te stesso; allora senti il dolore di esserti dimenticato del Signore; ma il dolore è un’altra forma di amore. E riparti con maggior fiducia in chi ti perdona e ti segue nel cammino che Lui porterà a termine. Anche questa è una falsa obiezione.
La terza è la paura del sacrificio affettivo.
Nel rapporto col Signore c’è il sacrificio affettivo di ciò che è istintivo ed immediato,e nell’esperienza della verginità cristiana c’è il sacrificio del rapporto uomo donna nella modalità che è vissuta nel matrimonio. Ma questo non va contro l’affettività, ma è una forma più profonda di affettività. La verginità nasce guardando la bellezza del rapporto di amore che Gesù aveva con tutte le persone. Questo rapporto vissuto i suoi apostoli, con gli uomini e le donne che lo seguivano e che incontrava nel suo cammino, andava diretto al cuore della gente; era un dono di sé potente, totale, sino alla fine. Un affetto intenso come abbiamo visto nell’incontro con Zaccheo. Si trattava di una affettività nuova, diversa dal solito eppure molto concreta. Nella vita infatti si ama una persona, non un’ombra, un fantasma. Così noi amiamo colui che ci ama pienamente e totalmente: la Persona di Cristo Gesù. E poiché Gesù è Dio, lo ritroviamo in ogni incontro, situazione e circostanza. Ogni avvenimento della vita è un’opportunità per dire si a Lui. Non per rinunciare all’affettività, ma viverla pienamente, amando le persone nella loro verità. Questa è la verginità: vivere la verità dei rapporti come la viveva Gesù, anche nella forma specifica della vita. Una passione intensa con una distanza dentro cioè senza la forma del possesso carnale. Ma un incontro nella verità, un rapporto senza possedere l’altro, semplicemente affermandolo perché in lui è presente il segno del Padre. Questo è l’affetto, l’amore all’essere dell’altro; come Gesù amava. Perciò il sacrificio e la paura del sacrificio affettivo sono superati progressivamente da questa esperienza di vera affettività. Da questa affezione potente al destino dell’altro, per il quale Gesù dà la vita. Sia lui uomo o donna, piccolo o grande, ricco o povero, peccatore o giusto. Anzi con una preferenza per i piccoli, i poveri, i peccatori. Nel cammino della vocazione quindi guardiamo alla forma in cui Gesù ha amato, non era sposato eppure amava con passione, sino a dare la vita. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15,13). Non c’è amore più grande e se vediamo che c’è qualcosa che impedisce di vivere questo amore dobbiamo eliminarlo. Se le circostanze portano alla distrazione, a vedere film inutili, a compagnie che mi distraggono ecc..è necessario un sacrificio. Perché se si cede alla distrazione e alla istintività immediata poco a poco cadiamo nelle sabbie mobili in cui uno affonda e rimane soffocato. E quella stima si perde. Questo sacrificio del possesso naturale specificamente nel rapporto uomo donna apre alla possibilità di un possesso più profondo, come lo viveva Gesù, cento volte più grande. Solamente che prima c’è un passaggio nel quale c’è la sensazione di perdere qualcosa; appunto c’è un sacrificio. In realtà questo perdere è la possibilità di ritrovarsi, di un possesso nuovo, di un altro tipo di possesso che , col passare del tempo diventa più intenso e più suggestivo del puro possesso naturale. Per questo anche l’obiezione “mi sono innamorato di…” non è una obiezione, ma una condizione in cui prima o poi devi passare avendo presente il fatto che per Cristo il sacrificio vale la pena perché apre ad una affezione cento volte più grande. Basta vedere il rapporto di Cristo con la Samaritana, con Pietro, con Giovanni e Andrea, con Zaccheo e con tutti gli uomini e le donne che il Signore ha incontrato. E questo è cammino che apre ad una novità che cresce col tempo, seguendo la chiamata di Gesù.
Conclusione
Nella preghiera personale e comunitaria nelle vostre comunità parrocchiali e movimenti è possibile riprendere quanto ci siamo detti durante i nostri incontri. Io ho cercato di darvi una pista di lavoro, poi farete dei momenti di lavoro con le persone che vi accompagnano nella vocazione. Io vi raccomando almeno tre cose: la preghiera personale insistente fatta con il cuore; la meditazione; l’amicizia con qualcuno più grande nel cammino e nella verifica della vocazione. La vocazione si comunica, si contagia da persona a persona. Tutto nasce dall’esperienza del dono dello Spirito fatto personalmente a te, e cresce nel rapporto con qualcuno che ti sta vicino, ti sostiene, che ti entusiasma e che quindi ti fa vedere, ti mostra che vale la pena dire il nostro sì al Signore. Così si avvera la sua Parola: “Chi mi segue ha la vita eterna e il centuplo quaggiù” (cfr. Mc 10, 29-30).