XXV domenica del tempo ordinario
La parabola parla di un padrone di una vigna che deve raccogliere l’uva. La giornata di lavoro era di dodici ore. Il padrone prende lavoratori nelle varie ore della giornata in base alle fino alle cinque, quando c’era solo più un’ora di lavoro: forse voleva terminare la vendemmia in un giorno e dà lavoro ai disoccupati. Concorda con i primi il compenso di un denaro, che era il guadagno minimo per una famiglia palestinese. Nel pagare gli operai , inizia da quelli che hanno lavorato un’ora e dà loro un denaro. Poi a tutti, compreso quelli che hanno lavorato dodici ore dà un denaro, proprio come era stato pattuito. Gli operai che avevano lavorato tutto il giorno attendono la loro paga pensando di meritare di più di quelli che avevano lavorato meno. Nonostante il padrone rispetta l’accordo , quindi non ha fatto loro nessun torto. Ma come tutte le parabole di Gesù anche questa, rimanda ad un’altra verità. La risposta la troviamo nella frase finale : “gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”. Le graduatorie di Dio sono diverse da quelle del’uomo (meno male), il metro di misura che Lui usa è diverso. La frase “io mi prendo cura” rispecchia perfettamente lo stile di Dio , la sua intensità di amare, la sua passione verso l’uomo. Secondo la logica di Dio ogni uomo dovrebbe sentirsi amato e soprattutto importante e considerato, perché soltanto cosi nasce dentro di lui il desiderio di crescere e maturare. Come ognuno di noi dovrebbe mettersi in relazione con gli altri con la stessa disponibilità.
I primi operai chiedono di ricevere una paga differente, e se così fosse a coloro che erano andati per ultimi avrebbe dovuto dare di meno. Se così fosse sarebbe stato veramente mortificante per gli ultimi. Un denaro era la paga minima , il pasto per un solo giorno , se il padrone avesse tolto qualcosa , avrebbe tolto con i denari anche la dignità.
Nei momenti di difficoltà si dovrebbe poter trovare una mano tesa, una consolazione e una certezza che qualcuno tiene a me. Lui ci chiama in tutte le situazioni della nostra vita e nei modi diversi, proprio perché il suo obiettivo a raggiungere il nostro cuore e farlo sentire abitato. Quando siamo chiamati ad usare la carità dobbiamo chiederci non se l’altro la merita ma che qualcuno l’ha già usata con noi superando i nostri limiti, e quindi siamo chiamati a fare altrettanto.
Don Mimmo Rizzo